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Recensione “POSSIBILITA'” di Marco Meloncelli

L’opera più recente di Gian Luigi Barcarolo dall’enigmatico titolo “Possibilità”, si compone di tre ampi pannelli: i due laterali, di dimensioni più contenute, sono posti ad ala del pannello mediano, quasi ad invitare lo sguardo verso il centro dell’opera dove campeggia un vasto medaglione.

La tecnica è mista: terre colorate, foglia d’oro, catrame, su supporto ligneo.

A chi segue con attenzione la ricca produzione dell’artista, non sfuggirà la citazione di un’opera del 1999 intitolata ”Catrame catartico, florilegio del Dono”, analogo è l’impianto generale in forma di trittico, simili le dimensioni e l’iconografia del medaglione centrale.

Non si tratta, tuttavia, di una fenice che risorge dal proprio rogo, le analogie si fermano qui, l’opera è nuova ed originale semmai si può pensare ad una sorta di “work in progress”, ad una metempsicosi artistica dove l’anima dell’originaria ispirazione trasmigra in una diversa trasposizione materica.

Colpisce, in prima battuta, il tripudio del colore.

I pannelli sono immersi in un intenso blu ”Parigi”; un leggero velo di vernice trasparente sulle terre colorate giova a riflettere la calda luce che promana dal medaglione centrale, che, grazie allo sfavillio della foglia d’oro, pare quasi una luna nell’intenso cielo stellato.

Se poi, da questa prima visione di insieme, passiamo ad osservare con più attenzione il lavoro di Gian Luigi Barcarolo, ci vengono incontro altre suggestioni: tra il surreale ed il metafisico.

Nel pannello di destra, due figure, fuse quasi con la tonalità prevalente, emergono appena accennate, in virtù di alcuni tratti rapidi di biacca.

Si tratta, andando dall’alto verso il basso, di un direttore d’orchestra e di un giovane uomo elegante, quasi un dandy o un più attuale yuppie.

Più in basso, in primo piano, questa volta perfettamente descritte con quella precisione anatomica di cui Barcarolo è maestro, si stagliano due mani, mani forti, drammaticamente espressive, che pare brancolino nel buio, stringano il vuoto.

Tutto attorno meteore di figure, grumi di terre colorate che si ricompongono nel pannello centrale a formare un’enigmatica immagine di umanoide che volge le spalle al grande disco dorato. E’ proprio il pannello centrale il cuore pulsante del trittico.

Qui domina un grande disco, una sorta di moneta dove, figure umane allungate, si intrecciano tra loro quasi in una danza lungo la dorata circonferenza della moneta.

Il fondo oro dà forma e rilievo alle figure modellate con tela e catrame, inonda di luce l’intera opera, luce amplificata nelle luminosissime terre che colorano come arcobaleni radiosi il globo centrale.

Sopra la moneta due figure di nero opaco, inarcano i corpi nello sforzo di tirarsi l’un l’altro in direzioni opposte.

Nel pannello di sinistra un’altra figura opaca, anch’essa nera, emerge a fatica dal fondo del pannello, indossa un copricapo a forma di bombetta.

Ancora una volta l’artista o, vogliam dire, il poeta ci propone un’opera che nelle proprie immagini riflette i dubbi, le ansie di noi uomini contemporanei, le nostre speranze i nostri slanci generosi e le vigliaccherie.

Il medaglione centrale è la chiave dell’opera: è il mondo, o meglio, è l’utopia di un nuovo mondo, il grembo nel quale può svilupparsi un’umanità, dove le differenze di razza, religione, cultura, siano i colori che danno luce e bellezza al globo e non occasioni di divisioni e reciproche barbarie, dove l’indifferenza e l’egoismo, rappresentati dalla figura antropomorfa sulla destra che volge le spalle, siano banditi relegati all’esterno del disco dorato. Fuori dal medaglione c’è la realtà contemporanea, così come la interpreta l’artista, una realtà dove chi ha il potere di cambiare le cose è troppo debole o imbelle (il direttore d’orchestra che a malapena si stacca dal fondo blu), o interessato a non apparire, a non modificare la realtà (il giovane ricco rappresentato sotto al direttore d’orchestra, e la figura opaca nel pannello di sinistra che si defila di sottecchi), una realtà dove anche chi vuole intervenire per cambiare, non ha ancora un’identità chiara e non sa in quale direzione andare (le due figure nere sul globo che tirano in direzioni opposte) dove tuttavia esistono energie nuove, mani forti pronte ad afferrare un simbolo, una bandiera, una nuova speranza.

In sintesi si potrebbe concludere affermando che Gian Luigi Barcarolo con questo nuovo lavoro ha voluto rappresentare il tema del momento: la sfida della globalizzazione, della civiltà planetaria con tutte le possibili speranze o le delusioni che in essa si racchiudono.

Al di là delle suggestioni o dei possibili significati, l’opera di Gian Luigi Barcarolo è un valore in sé, un lavoro che va apprezzato nel suo insieme, ma anche scandagliato minuziosamente centimetro per centimetro, come un’antica miniatura.

Vicenza, 7 Settembre 2001

                                                                                   Marco Meloncelli

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