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Recensioni

Marco Meloncelli

Quattro sono le radici del tutto: TERRA, ACQUA, ARIA, FUOCO; di essi vale il principio che nulla può nascere dal nulla e nulla può ridursi a nulla: essi sono perenni, non nati né distruttibili”.

Nell’ammirare le opere selezionate per l’ultima personale di Gian Luigi Barcarolo, in calendario dall’1 al 31 dicembre 2000 presso la galleria “Due Ruote” di Virgilio Scapin, mi è giunto forte l’eco di queste poetiche intuizioni consegnate ai posteri, nel quinto secolo avanti Cristo, dal mistico filosofo Empedocle.

La mostra si apre infatti con una piccola selezione tratta dal corpus di opere ad affresco dell’artista: pigmenti di terre naturali su una base di malte spatolate su supporto ligneo.

Colpisce la resa prospettica, l’intensità espressiva, il fiammeggiare degli sguardi affidati a pochi, irruenti colpi di pennello, veloci sciabolate di spatola.

Colpisce ancora la delicata trasparenza dei toni, la resa chiaroscurata degli incarnati, le linee sinuose dei corpi affidate ad un unico tratto deciso e calibrato.

E’ evidente nelle opere qui selezionate, il riuscito proposito dell’artista di ridurre all’essenziale l’elemento narrativo.

Lo spettatore è immediatamente attratto dallo sguardo, fulcro espressivo del volto e, solo in un secondo tempo, insegue la linea del corpo che, come un abbraccio ininterrotto, stacca la figura dallo sfondo.

Anche i colori sono essenziali, giocati spesso su modulate varianti tonali.

Nella seconda sezione troviamo le opere in metallo: bronzo, ferro, oro, argento, piombo, ossidi e terre fusi, tra loro dall’opera demiurgica del fuoco.

Si potrebbe parlare di una sezione dedicata alla scultura, per la forza plastica delle composizioni, per la rappresentazione della forma nello spazio; ma, a ben guardare, la sensibilità dell’artista si è concentrata più sul colore che sul modellato.

Gian Luigi Barcarolo ha inventato un mirabile supporto spaziale su cui dipingere col fuoco, sperimentando l’effetto cromatico di ossidi e terre, ha screziato le superfici con inaspettate tonalità di lilla, verde tenuissimo, indaco, rosa, contrappuntati da rossi cupi, neri cangianti.

La tridimensionalità è visibilmente cercata e raggiunta, nell’amplesso tra scultura e pittura, anche nelle ultime due sezioni, in cui vengono esposte opere in vetro ed opere a tecnica mista: catrame su legno, tela di sacco, terre, foglia oro, colori naturali ed acrilici.

Nelle opere in vetro l’apparente levità del supporto conferisce una solare brillantezza ai colori, un’abbacinante purezza adamantina in una pura librata fusione tra aria acqua e luce.

L’artista fonde tra loro vetri, colori e metalli palesando, oltre ad una vibrante nota poetica, anche una rara abilità artigianale nel dominare materiali disparati.

Di grande effetto è la formella vitrea con gallo, dove poche gocce di colore conferiscono all’opera una valenza plastica e cromatica, una tensione emotiva che echeggiano gli esiti dello straordinario Ligabue.

Particolarmente interessanti anche le formelle a fondo oro per i peculiari giochi di luce all’infinito riflessa e rinviata dal vetro, dall’oro e dal colore e le opere in rete metallica e vetro dove primeggia la definizione dei volumi nello spazio.

La mostra si chiude con alcune opere a tecnica mista in catrame su legno, terre colorate, colori acrilici, foglia d’oro.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare altrove, in queste opere vi è un’originale citazione dei fondi oro trecenteschi: in quelli è il forte contrasto tra la lucentezza dell’oro e l’opacità del pigmento pittorico ad imprimere vigore plastico alle figure, nelle opere di Barcarolo quest’effetto è ottenuto giocando sul contrappunto tra la traslucida opacità del catrame e la luminosità naturale delle terre colorate o l’abbagliante luce dei colori acrilici.

La scommessa cromatica è solo invertita: il fondo nero cangiante assorbe la luce per restituirla centuplicata nei gialli e nei viola delle terre spruzzate, nei rossi acrilici, nello sfavillare della foglia d’oro.

Di particolare intensità, anche per i suoi significati iconografici, il grande pannello intitolato ”Catrame catartico” voluto dalla Banca Nazionale Del Lavoro di Vicenza come simbolo della manifestazione benefica “Telethon 1999” ed esposto nel capoluogo berico nel dicembre 1999, ma degne di nota sono anche le opere di minore dimensione raffiguranti sinuose figure femminili.

Taluno mi chiede di evidenziare un percorso evolutivo nella produzione artistica di Gian Luigi Barcarolo.

Ebbene un’evoluzione profonda e radicale ha contraddistinto le opere ad olio e i disegni prodotti negli anni 80 dai lavori dell’ultimo decennio, ma ormai Barcarolo ha raggiunto la piena maturità poetica e l’utilizzo dei vari materiali e delle diverse tecniche non rappresenta un’evoluzione, ma una tensione costante verso la piena creatività di un artista che ha mirabilmente fuso insieme l’anima dello scultore e del pittore con un talento fecondo nello sperimentare soluzioni e tecniche nuove.

Vicenza, 30 novembre 2000

Marco Meloncelli

 

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